Il Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale insieme a Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa presentano al Teatro Gobetti, martedì 3 aprile 2018, alle ore 19.30, in prima nazionale LEAR, SCHIAVO D’AMORE una riscrittura di Marco Isidori del Re Lear di William Shakespeare, con la regia di Marco Isidori.
Lo spettacolo è interpretato da Maria Luisa Abate, Paolo Oricco, Batty La Val, Francesca Rolli, Vittorio Berger, Eduardo Botto, Nevena Vujic’, l’Isi.
Le scene e costumi sono di Daniela Dal Cin, le luci di Francesco Dell’Elba.
Lear, schiavo d’amore resterà in scena al Teatro Gobetti, per la Stagione in abbonamento del Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale, fino a domenica 15 aprile 2018.

NOTA DI MARCO ISIDORI

Re Lear dei Marcido: Shakespeare oggi, Shakespeare ancora e sempre “in love!”

«Grande metafora scenica degli inciampi ineludibili della vecchiezza umana, grande storia familiare, grande Teatro delle limitazioni intrinseche relative comunque alla sordità naturale della nostra condizione di viventi, tutto ciò è la tragedia del Lear, terza avventura shakespeariana dei Marcido, dopo le prove di “Vortice del Macbeth” (2002) e “AmletOne!” (2015).
Lo spettacolo, com’è consuetudine della Compagnia, respira all’interno di una spazialità scenografica assai particolare, le cui contraddittorie caratteristiche strutturali (potremmo infatti definire l’immagine del castello di Lear, come quella di un sottomarino “volante”) sono esaltate e potenziate da un impegno drammaturgico che ha saputo privilegiare, insieme allo scavo psicologico dei personaggi (cura massima), anche e soprattutto la dimensione epica del racconto del Bardo.
Le situazioni dello sviluppo storico saranno accompagnate in sequenza, sottolineandole o contrappuntandone le fasi climatiche, da una serie di trasformazioni di tutto il panorama scenografico, stupefacenti per effetto visivo, ma, quel che più conta, per l’estrema aderenza della loro misura iconica, alle intenzioni/intuizioni generali della regia; quest’aderenza importante del fattore visivo allo svolgimento drammatico della vicenda, aderenza perseguita coinvolgendo attivamente nella trama ogni risorsa impiegata all’ottenimento di quella “maraviglia” teatrale che da sempre ci piacque di inseguire, di volta in volta, accingendoci alla creazione di un nuovo spettacolo, ci fa dire: ≪Pure in quest’occasione, bisogna che recitino non solo gli attori, ma bisogna far sì che “reciti” (e bene!) anche l’inorganico!≫. L’apparato, lo scenario appunto “morto”, dovrà possedere altrettanta espressività quanta è auspicabile che ne mettano in campo gli attori in carne e ossa!
Oggi, scegliere Shakespeare in qualità di autore, eleggerlo a depositario nonché garante di una sensibilità che contenga e rappresenti il nostro presente, significa saperne restituire l’infinita complessità dei nodi tragici (non dimentichiamo, però, i supremi momenti del grottesco!), con la semplicità lineare propria di un processo di “sottrazione” drammaturgica, la quale, sfrondando anche spietatamente i rami pleonastici del plot, possa restituire allo spettatore moderno, quel ritmo essenziale, fisiologicamente/magicamente affine al lavorìo cardiaco, quella musicalità interna alla misura del verso shakespeariano, bagaglio indispensabile perché la messa in scena di uno dei capolavori indiscussi del poeta inglese, abbia adesso, per noi, oggi, con la prospettiva che ci ritroviamo, un valido motivo per inverarsi quale compiuto e necessario fatto teatrale.
I Marcido tengono molto a conferire alle imprese spettacolari che li hanno appassionati, non soltanto un forte marchio di bellezza figurale, ma durante i loro trent’anni di attività professionale, hanno potuto constatare che nessuna verticalità estetica da sola, può giustificare in toto l’azione drammatica contemporanea; occorre prevedere, immettendolo nel piano di qualsivoglia tentativo di rappresentazione, il dispiegamento calcolato, determinato, quasi programmatico, di una precisa istanza etica.
Nel corso poi dell’imbastitura della pièce, seguendo uno dei precetti brechtiani a noi più cari, precetto che impone non si faccia teatro in quest’epoca, se non per favorire un “cambiamento” dello stato/civile umano, siamo stati trascinati, guidati dalla potente eloquenza del dettato poetico shakespeariano, verso un compimento del lavoro scenico, che proprio nella risposta a domande sulla necessità urgente di una “nuova alleanza” (ci sentiamo di definir tale ciò che per Bertholt Brecht era l’empito rivoluzionario) tra i soggetti umani, ha trovato la sua miglior cadenza/sapienza teatrale; d’altro non eravamo alla ricerca».

01_Comunicato LEAR SCHIAVO D’AMORE

 

foto dello spettacolo

 

 

foto delle prove