Il Teatro Carignano si trasforma in una piazza incantata: i velluti e gli ori della sala incorniciano un grande prato all’inglese, che ricopre la platea.

Dal 25 giugno al 21 luglio si alternano due nuovi spettacoli tratti dal grande repertorio shakespeariano. La bisbetica domata e Otello vanno in scena di sera in sera offrendo al pubblico un’occasione unica per vivere il teatro da una prospettiva insolita, tra innovazione e tradizione.

LA BISBETICA DOMATA – acquista ora

regia Elena Gigliotti in collaborazione con Dario Aita

OTELLO – acquista ora

regia Marco Lorenzi

con (in ordine alfabetico)
Lorenzo Bartoli, Vittorio Camarota, Lucio De Francesco, Damien Escudier, Barbara Mazzi, Camilla Nigro, Michele Schiano Di Cola, Marcello Spinetta, Alice Spisa, Andrea Triaca, Angelo Tronca
scene Gregorio Zurla
costumi Alessio Rosati
luci Cesare Accetta
Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale

LA BISBETICA DOMATA

di William Shakespeare
traduzione e adattamento Fausto Paravidino
regia Elena Gigliotti in collaborazione con Dario Aita
scene Gregorio Zurla
costumi Alessio Rosati
luci Cesare Acc etta
coreografie Claudia Monti
collaborazione musicale Isacco Zanon
assistente ai costumi Giulia Giannino


25, 27, 29 giugno 2019 ore 21.00
2, 4, 6, 9, 11, 13, 16, 18, 20 luglio 2019 ore 21.00
durata 2h e 15 min


«“La nostra epoca è una gigantesca bolla di solitudini”. Tutte le epoche sono una gigantesca bolla di solitudini, scopriamo, ora che mettiamo in scena La bisbetica domata di William Shakespeare, partendo da una farsa neanche troppo vicina a noi e lasciandola poco dopo, per inseguire la storia di una bambina o ragazza o donna di nome Caterina. Ancor prima di essere definita “bisbetica domata”, Caterina è una bisbetica, parola che si sottrae a una definizione univoca, in quanto all’interno di essa troviamo tutto ciò che è e, di conseguenza, tutto ciò che non è. La bisbetica è il bene e il male, la femmina e il maschio, la sorella e la figlia. Quando ne sente la mancanza, è la madre. All’occorrenza, anche il padre. Pare dunque essere tutto, la bisbetica, perché ha quel tutto che le serve per esserlo: il coraggio. Ha maturato uno spiccato senso di giustizia, ma è pronta a venerare il Dio dell’irrazionale quando il cuore glielo comanda. Sono molte le occasioni in cui non sente ragioni, e proprio quando desideriamo fortemente sussurrargliele all’orecchio mentre abbraccia il cuscino sul letto e piange con rabbia, ci accorgiamo che prima di essere bisbetica è stata senz’altro Caterina, la bella Caterina, la Caterina più carina del mondo. E che vorrebbe esserlo ancora ma non lo sa, come chi non ha ancora conosciuto l’amore. È tutto, allora, fuorché amata e innamorata, perché ha quel tutto che le serve per non esserlo: la paura. “La tenebra è solo una grande domanda di luce”. Irrompe così, nella sua vita, Petruccio, abituato a prendersi ciò che vuole, diverso da tutti gli altri e l’unico all’altezza della sua anima: risposta di Morantiana memoria – se pensiamo all’Isola di Arturo, romanzo al quale ci siamo ispirati nel dargli vita – alla domanda di luce che lei si pone, nel giorno in cui una bambina non ha più paura del suo papà. Petruccio la doma. Suo malgrado. E così farà anche lei, domandolo. Procediamo, allora, senza dimenticare mai che questi personaggi sono prima di tutto persone, solitudini che popolano la gigantesca bolla che è il mondo, decadente com’è stato, prima di Petruccio e Caterina. Prima dell’amore. “E ciò nonostante, credo che da tutto questo buio troverò una via d’uscita”. Dedichiamo la nostra messinscena a colei che non può e non deve essere compressa fra le virgolette delle citazioni fatte: Alda Merini».

OTELLO

di William Shakespeare
traduzione e adattamento Lorenzo De Iacovo e Marco Lorenzi
regia Marco Lorenzi
scene Gregorio Zurla
costumi Alessio Rosati
luci Cesare Accetta
assistente ai costumi Giulia Giannino


26, 28, 30 giugno 2019 ore 21.00
3, 5, 7, 10, 12, 14, 17, 19, 21 luglio 2019 ore 21.00
durata 1h e 55 min


«L’amore di Otello e Desdemona è per me centrale. Questo amore puro, vero, totale, è l’unica cosa che ancora dà senso a Otello, ovvero a un uomo che proviene da un mondo che non c’è più, il mondo degli eroi, del mito, del “once upon a time”. Appartiene a un’altra dimensione e per quella dove opera è un estraneo. Il suo mondo, appunto, è stato sostituito dal mondo della parola ambigua e capitalistica di Iago, della Venezia mercantile, calcolatrice. Un tempo la parola corrispondeva all’azione che veniva compiuta, oggi la parola apre a molteplici evocazioni, ma soprattutto, muta la realtà. Come a teatro, in cui la parola costruisce realtà, costruisce immagini nuove, è lo spazio dell’immaginazione e della realtà interiore. Questo, per me, è Cipro: è un terreno di gioco complesso e ostile al Moro, il quale non ci si ritrova, si sente estraneo e “passato”. L’unica cosa a cui aggrapparsi è l’immenso amore per Desdemona. Un amore d’altri tempi, puro e vero. Iago invidia e odia ciò che gli è così distante. Per questo vuole sovvertirlo. Immagino due parti distinte per questo spettacolo. Venezia, la prima parte, è ambientata nel backstage dello spettacolo. Siamo ancora in un mondo concreto, il Teatro con le sue immagini e la sua capacità di creare realtà non è ancora pienamente presente. Per questo vediamo i camerini degli attori, vediamo la preparazione per quello che dovrà avvenire poi. Oltre ai camerini c’è una lunga tavola da prove a tavolino. Il tagliafuoco del teatro è tirato giù. Su di esso campeggia la scritta “io non sono quello che sembro” (come a dare le regole del gioco, il principio della nostra messa in scena, del nostro viaggio dentro Otello). Cipro, la seconda parte. Il tagliafuoco verrà alzato e comparirà il mondo di Cipro. Cipro, per me, come in un gioco di rifrazioni shakespeariane, è l’isola di Prospero. È lo stage del Globe dove tutto può essere evocato con la forza della parola. Cipro è una parola! È la famosa “o” di legno dell’Enrico V. Perché Cipro è una metafora del teatro. È un luogo dove crediamo a quello che ci viene detto e perdiamo la distinzione tra ciò che è realtà concreta e realtà immaginata. Otello cadrà in questo mondo di apparenze e non riuscirà più a districarsene. Da qualche parte, nella penombra, non facilmente visibile ai nostri occhi, c’è una montagna di terra e un attore, forse un becchino, che con una pala toglie la terra dall’inizio alla fine dello spettacolo. Ogni volta che lo guardo durante le prove, sembra ricordarmi che non si può sfuggire all’ineluttabile del tragico. Almeno fino alla fine, fino al momento in cui, la fiamma di cui parla Otello, ovvero l’immenso amore che lega lui e Desdemona, non continua a bruciare. Per sempre. E a darci ancora una speranza per cui piangere.»

Marco Lorenzi

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