La prima domanda è ovvia: cosa significa ADESTE+?
Prendiamola alla lontana: abbiamo un buon rapporto con il nostro pubblico, cerchiamo di ascoltarlo e di metterci a loro disposizione. Ma sappiamo che ogni tanto è necessario modificare (o rivoluzionare) gli schemi mentali e le modalità di lavoro, per non perdere mai di vista una delle cose più importanti che offriamo: l’esperienza del teatro e il sentirsi parte di una comunità.
Il Teatro Stabile di Torino, attraverso le persone che più direttamente sono coinvolte nel processo di relazione con il pubblico, supportato dalla Fondazione Fitzcarraldo, ha lavorato per due anni, in parallelo agli staff di alcune tra le principali istituzioni culturali europee, a una sorprendente immersione nell’audience engagement.
Era maggio, e abbiamo fatto alcune scoperte:
oltre a noi gruppi di altri sette paesi europei stavano affrontando un percorso analogo, alla scoperta di nuovi modelli di progettazione, su modalità più efficaci di azione, mettendo al centro del modello la persona e affrontando anche il rischio.
Ci siamo presentati, ma non è stata una formalità: abbiamo preso fisicamente posizione definendoci pigri, attivi, introversi, dialettici, musicalmente orientati, appassionati o detrattori.
Ci siamo guardati tra colleghi che lavorano insieme da molti anni con occhi nuovi, divertiti e complici.
AUDIENCE ENGAGEMENT
Audience engagement, due parole che possono dire moltissimo: se ne parla da almeno 10 anni, in particolare se pensiamo all’impatto della tecnologia sulla vita di ciascuno. E le istituzioni culturali si sono adeguate in modo significativo, spesso prima di molti altri comparti produttivi. L’arte partecipativa non è solo un fatto teatrale, ma investe la società dal profondo. Alla fine della giornata di lavoro, ospiti della Compagnia di San Paolo, ci siamo riservati un’ora per mettere in pratica uno dei capisaldi del marketing: l’indagine di mercato. In corso Vittorio o nelle vie limitrofe ci siamo spezzettati in gruppi scoprendo tra i passanti che molti non solo ci conoscono bene, ma ci amano profondamente.
LAVORARE SULL’EMPATIA
Si lavora sull’empatia, uno degli elementi base del design thinking. Lasciamoci andare e mettiamoci nei panni dei nostri pubblici. Cosa sentono? Dove vivono? Cosa vedono? Facciamoci sorprendere e creiamo una vera relazione. E noi chi siamo, cosa vogliamo? Vogliamo essere specchio o martello? A Rotterdam è stata messa in pratica una programmazione teatrale che segue i bisogni e le richieste del pubblico. E noi ci siamo chiesti: che posizione prendiamo? Allora abbiamo usato dei posti it di vari colori e ci siamo interrogati su fattori rilevanti e pertinenti che influenzano il nostro lavoro, su come immaginiamo il futuro non solo del sistema teatrale ma anche della nostra struttura. Ci siamo proiettati in una dimensione aperta a tutti i nostri sogni più folli!
IL NOSTRO PUBBLICO
Com’è il nostro pubblico? Assiduo, abituale ma infedele, occasionale, indifferente. Interpretare cosa spinge una persona a varcare la porta delle nostre sale o, al contrario, a non avvicinarsi per nulla ci porta a una domanda
“Cosa posso essere per gli altri”
“Come dare una risposta culturale a bisogni che non lo sono”?
Comfort zone: l’abbiamo abbandonata! Se le istituzioni tendono a irrigidirsi nel tempo, noi invece abbiamo sfidato noi stessi. Un sexy shop, una sala scommesse, una mensa per poveri…