Debutta in prima nazionale al Teatro Gobetti, martedì 17 maggio 2022 alle ore 19.30, L’estinzione della razza umana, scritto e diretto da Emanuele Aldrovandi, con in scena Giusto Cucchiarini, Eleonora Giovanardi, Luca Mammoli, Silvia Valsesia, Riccardo Vicardi e con la partecipazione vocale di Elio De Capitani. Le scene sono di Francesco Fassone, i costumi di Costanza Maramotti, le luci di Luca Serafini. Lo spettacolo, prodotto dal Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale e da Associazione Teatrale Autori Vivi, in collaborazione con La Corte Ospitale – Centro di Residenza Emilia-Romagna, sarà in scena nella stagione in abbonamento dello Stabile fino a domenica 29 maggio 2022.

Emanuele Aldrovandi, abile e riconosciuto drammaturgo, ha raccolto negli ultimi dieci anni numerosi consensi sia in teatro sia al cinema (il suo corto Bataclan ha vinto il Nastro d’Argento nel 2021 come miglior cortometraggio italiano). L’estinzione della razza umana, scritto nel 2021, è stato selezionato da Eurodram 2022 (il comitato che segnala le migliori novità drammaturgiche adatte alla circuitazione internazionale) e verrà presentato in anteprima radiofonica il primo maggio 2022, nell’ambito della rassegna di Rai Radio 3 “FUTUROpresente. Nuove scritture per la scena italiana”. Questo testo è una sorta di esorcismo – catartico e liberatorio – che ci aiuta a metabolizzare il nostro presente con ironia, lucidità e un pizzico di grottesco surrealismo, utilizzando un linguaggio tragicomico, con dialoghi affilati e serrati. In un mondo incastrato dentro ritmi frenetici e disumani, che sottraggono tempo al pensiero e all’introspezione, riducendo il dialogo tra gli individui a litigi “da bar” o “da social network”, l’arrivo di un virus che trasforma le persone in tacchini blocca e distorce ogni cosa. Così, le due coppie protagoniste della storia, persone comuni, portatrici ognuna di una diversa posizione filosofica della vita, si ritrovano nell’androne di un palazzo assalite da domande, frustrazioni e paure.

Sei nella savana con due leoni, uno vicino e uno lontano. Qual è quello che ti fa più paura? Quello più vicino. Ma non ha senso, perché anche quello più lontano, se vuole, ti mangia. Perché corre molto più veloce di te. Dovrebbero farti paura uguale, o al massimo dovresti chiederti quale dei due è più affamato. Ma chi è che riesce a fare un ragionamento del genere con due leoni che vogliono mangiarlo? Il nostro cervello non funziona così. L’amigdala, che regola le emozioni, per rilevare i pericoli semplifica tutto: “vicino/pericolo”, “lontano/poi vediamo”.

 

Note di regia e drammaturgia di Emanuele Aldrovandi

Unità di tempo, unità di luogo, cinque attori che agiscono dall’inizio alla fine all’interno di una situazione, interpretando dei personaggi, senza momenti meta-teatrali, slittamenti temporali o cortocircuiti strutturali. Scrivere e dirigere uno spettacolo con questi presupposti può sembrare un ritorno al passato, ma per me rientra in una forma radicale di ricerca che, con uno sguardo retrospettivo a questi ultimi dieci anni, credo sia sempre stata al centro del mio lavoro.

Come autore ho scritto testi molto diversi fra loro dal punto di vista strutturale, ma accomunati dal tentativo di mettere ogni volta in discussione quello che Richard Rorty chiama “vocabolario decisivo”, cioè le parole, i concetti e le idee che ogni essere umano utilizza per definire sé stesso e la propria visione del mondo. Ho sempre cercato di affrontare queste visioni del mondo senza nessun pregiudizio morale, per poi spingerle alle loro più estreme conseguenze, non de-costruendole col tipico approccio post-moderno, ma piuttosto iper-estendendole, fino al punto di rottura, o al paradosso.

Anche nel caso di questo testo è stato così. Quando ho iniziato a lavorarci, a gennaio 2020, ero appena diventato padre e mi stavo interrogando sul desiderio assurdo di generare altri esseri umani in un mondo che probabilmente non arriverà al 2050. Volevo scriverne attraverso personaggi che viaggiavano per il mondo, ma poi è arrivato il lockdown, io sono rimasto bloccato in casa e anche i personaggi, in un certo senso, sono finiti lì, nell’androne di un palazzo, durante una pandemia. Non volevo scrivere una cronaca del Covid – e infatti nel testo il virus è un altro – ma ho deciso di nutrirmi di ciò che stavo vivendo, prendendola come una sfida: partire dai litigi “da bar” o “da social network” – che tutti abbiamo dovuto affrontare, subire o alimentare – per raccontare cinque esseri umani nel periodo di passaggio all’età adulta, scavando dentro di loro senza pietà per trovare l’ultima cosa a cui si aggrappano, quando tutto sembra franargli sotto ai piedi.

Il lavoro autoriale si è poi fuso a quello registico, essendo questa la prima volta in cui mi approccio all’ideazione di un testo sapendo che sarò io a dirigerlo. Con Farfalle ho lavorato su un materiale che avevo scritto otto anni prima e quindi in un certo senso è stato come mettere in scena il testo di un altro – ed è stato molto stimolante, anche perché la natura stessa della pièce prevedeva la possibilità di svariate chiavi interpretative, soprattutto rispetto allo stile recitativo (la versione che ne hanno fatto a New York, ad esempio, era quasi antitetica rispetto alla mia). In questo caso – altrettanto stimolante – il processo è stato diverso: mi sono presentato il primo giorno di prove con una bozza non definitiva del testo e ci ho lavorato per quasi dieci giorni a tavolino con gli attori, riscrivendo e adattando le battute e il linguaggio agli interpreti che avrebbero dato vita ai personaggi. Se in Farfalle le due attrici dovevano recitare sia le due sorelle protagoniste, sia una decina di altre figure viste attraverso il filtro deformante della memoria – e quindi mi è sembrato giusto creare una scenografia astratta e alternare una recitazione più naturalistica a una più grottesca/espressionista – nel caso de L’estinzione della razza umana i cinque attori interpretano i loro personaggi dall’inizio alla fine all’interno una storia sì dai contorni assurdi – che appunto sono rappresentati scenograficamente dalla rete da volatili che sostituisce il muro del palazzo e dalle incursioni luminose e vocali del mondo esterno – ma ben radicata nella realtà. Questo mi ha portato a lavorare con loro sulla “verità” e sulla “concretezza” di ciò che stavano agendo. Senza partiture fisiche, virtuosismi vocali o azioni simboliche. Semplicemente – ma non è stato affatto semplice – ci siamo concentrati sul capire lo stato d’animo di ogni personaggio in ogni momento e sul senso e la necessità di ogni passaggio – divertendoci molto nel trovare anche numerosi spunti di commedia, ma dandoci l’obiettivo di essere rigorosi nel viaggio verticale all’interno della visione del mondo dei personaggi.

In un contesto comunicativo dominato da immagini accattivanti e contenuti brevi che si affastellano l’uno sull’altro per attirare la nostra attenzione, non è certo lo stimolo sensoriale che manca, ma la precisione del pensiero. Costantemente sabotata da algoritmi che ci propongono contenuti sempre più in linea con le nostre posizioni, rafforzando i nostri giudizi e impoverendo la nostra dialettica interiore.

La ricerca teatrale a cui mi riferisco, invece, si dirige proprio nella direzione opposta: affrontare percorsi profondi in modo diretto, attraverso una serie di snodi semplici che progressivamente ne restituiscano la complessità in modo coinvolgente, con l’obiettivo però di arrivare, attraverso l’iper-estensione, a mettere in crisi il proprio punto di vista – e quindi quello dello spettatore.

 

Emanuele Aldrovandi è autore teatrale, sceneggiatore, traduttore e regista. Dopo la laurea in Filosofia a Parma e in Lettere a Bologna, ha studiato alla Civica Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi di Milano, dove dal 2018 è docente di drammaturgia. Ha scritto numerosi testi teatrali, fra i quali Homicide House (Premio Riccione-Tondelli), Farfalle (Premio Hystrio e Mario Fratti Award), Felicità (Premio Pirandello), Il Generale (Premio Fersen), Scusate se non siamo morti in mare (Finalista Premio Scenario e Premio Riccione), Allarmi! (Finalista Premio Testori), messi in scena nei principali teatri italiani e tradotti in numerose lingue. È fondatore e direttore artistico dell’Associazione Teatrale Autori Vivi; ha lavorato con Teatro Elfo Puccini, ERT – Teatro Nazionale, Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale, Teatro Stabile del Veneto, Teatro dei Filodrammatici, ATIR. Tra gli autori selezionati da Fabulamundi Playwriting Europe, ha partecipato a progetti internazionali (Opera di Pechino, LAC Lugano, The Tank Theater New York). Per il cinema ha scritto e diretto vari cortometraggi tra cui Un tipico nome da bambino povero e Bataclan (Premio speciale RAI Cinema alla Festa del Cinema di Roma e Nastro d’argento 2021 come miglior cortometraggio italiano), presentati in numerosi festival nazionali e internazionali. Sta lavorando al suo primo lungometraggio.

 

RETROSCENA
Progetto realizzato dal Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale con
l’Università degli Studi di Torino/DAMS – Università degli Studi di Torino/CRAD

Teatro Gobetti, Sala Pasolini
Mercoledì 18 maggio 2022, ore 17.30
Emanuele Aldrovandi e gli attori della Compagnia
dialogano con Matteo Tamborrino (StudiUm/Università di Torino) su L’estinzione della razza umana

Ingresso libero fino ad esaurimento dei posti disponibili. Prenotazione obbligatoria.

 

CS_L’estinzione della razza umana