Nel 1955 la guerra sembrava ormai lontana, il miracolo economico galvanizzava gli italiani con la rivoluzione dei consumi e la motorizzazione di massa, la neonata televisione e il rock’n roll alimentavano l’immaginario collettivo verso un futuro di prosperità. Oggi, a settant’anni di distanza, ci troviamo nel bel mezzo di una policrisi globale e assistiamo a ciò che Edgar Morin definisce il declino della fiducia civica e della democrazia così come le conoscevamo: il boom economico è degenerato nell’egemonia del profitto su ogni altra logica – sociale, ambientale, umana – e la prospettiva di pace si è trasformata nella tragedia di chi subisce i colpi della storia tra guerre, migrazioni, disastri. Ma il teatro può essere rilevante in questa fase storica così complessa? Come si abilitano gli artisti ad essere incisivi per affrontare queste criticità valorizzando il loro carisma comunicativo e poetico? In che modo si rende efficace il fatto teatrale per contrastare le povertà relazionali e favorire lo sviluppo rigenerativo senza inibire l’atto creativo? Con l’obiettivo di alimentare il pensiero critico e la coscienza collettiva, accorciando le distanze tra il rischio culturale e l’inclusione sociale, qui al TST lavoriamo ogni giorno per stabilire le condizioni ideali affinché gli artisti possano creare liberamente e il pubblico partecipare agevolmente, generando impatto dall’azione di drammaturghi, registi e attori, in una mediazione continua tra opera dell’ingegno e fruizione pubblica. La stagione che qui presentiamo è il frutto del lavoro collegiale del nostro Comitato artistico, e questo codice genetico plurale amplifica le energie, rafforza le competenze, esalta la creatività. Dall’unione di persone di varia estrazione culturale, politica, geografica, generazionale, nella quale la diversità è una ricchezza, scaturisce un cartellone che è quasi un manifesto di ciò che noi intendiamo per Teatro Pubblico: un’azione concreta e pragmatica, che parte dalla memoria storica custodita dal Centro Studi, procede con la scrittura di nuovi testi o l’adattamento drammaturgico dei titoli di repertorio, prende corpo nei laboratori di scenografia, falegnameria, carpenteria, attrezzeria e sartoria, prosegue con le prove di registi e attori, coreografi e danzatori, coniuga formazione e professione nella Scuola per attori, si compie nel processo produttivo grazie alle maestranze, e culmina nelle sale teatrali, ospitando anche compagnie e interpreti di prestigio, per incontrare il pubblico. Se 70 anni fa il TST nacque con lo scopo di cementare la riconciliazione post-bellica rendendo il teatro d’arte democraticamente accessibile, oggi, nel nostro mondo polarizzato, un Teatro Nazionale deve svolgere funzioni ancor più ramificate, poiché l’arte e la cultura sono ormai considerate anche mezzi orientati all’educazione delle comunità, alla coesione sociale, alla sostenibilità. Perciò il nostro cartellone vuole contribuire alla formazione di una cittadinanza attiva e consapevole, che cerchi di contrastare l’individualismo sterile, e che sappia accogliere la complessità invece di negarla. E tale complessità si riflette nel teatro come ecosistema capace di declinare in una dimensione sociale i principi della biomimetica, perché da oltre duemila anni l’atto scenico è un processo creativo interdisciplinare, funziona secondo cicli chiusi dove non esiste il concetto di rifiuto, contribuisce alla tolleranza e alla resistenza, si fonda su interdipendenza, interconnessione, cooperazione, rispetta e moltiplica la diversità. Ma, come ci ricorda ancora Morin, la complessità oggi più insidiosa è nata dal cuore stesso della nostra civiltà ed è la dominazione del calcolo sul pensiero. Il calcolo non può comprendere la sofferenza, la gioia, l’estasi, l’amore, poiché il progresso tecnico non implica progresso morale, anzi: spesso coincide con una regressione etica. E dunque, in questa necessità di comprensione della complessità, attraverso il fatto teatrale cerchiamo di indirizzare la tensione tra intelligenza naturale e artificiale verso l’intelligenza collettiva, per rigenerare l’umanesimo e affrontare consapevolmente il mutamento antropologico in atto. La stagione 2025/2026, con i suoi autori, titoli e interpreti, è l’invito utopico ai nostri spettatori a vivere il presente in modo attivo e rigenerativo in un mondo imperfetto, nel quale l’unica opzione, qualunque cosa accada, è quella di credere nell’umanità degli altri, chiunque essi siano.