Martedì 1 novembre 2022, alle ore 19.30, debutta in prima nazionale al Teatro Gobetti di Torino lo spettacolo Non è più tempo di uccidere, tratto da uno dei romanzi forse meno conosciuti di Beppe Fenoglio, La paga del sabato, scritto probabilmente alla fine degli anni ‘40 e pubblicato postumo solo nel 1969. Lo spettacolo, diretto da Giulio Graglia, è interpretato da (in ordine alfabetico) Franco Barbero, Francesca Bracchino, Marta Cortellazzo Wiel, Riccardo Forte, Margherita Fumero, Francesco Gargiulo, Riccardo Livermore, Marcello Spinetta. Le scene e le luci sono di Jacopo Valsania, i video di Giulio Cavallini.

Lo spettacolo, coprodotto da Fondazione Teatro Marenco e Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale, verrà presentato in anteprima a Novi Ligure, al Teatro Marenco, il 28 e il 29 ottobre e andrà in scena al Teatro Gobetti dall’1 al 6 novembre.

Un’opera estremamente attuale nonostante l’ambientazione nell’immediato dopoguerra, spiega Giulio Graglia: «Per il Centenario di Beppe Fenoglio ho riportato alla luce il testo Non è più tempo di uccidere da me scritto in età giovanile, ispirato a La paga del sabato, a mio avviso, il più bel romanzo dello scrittore piemontese. I temi sono di un’attualità disarmante e riguardano oggi come allora, le difficoltà dei giovani ad inserirsi in un mondo del lavoro che non tiene conto dei loro sogni. L’adattamento teatrale di cui curo la regia, vede in scena un gruppo di attori che si sono formati alla scuola del Teatro Stabile di Torino, coadiuvati da due senior: Margherita Fumero e Franco Barbero. È un lavoro corale ciò a cui ho pensato per enfatizzare non solo un passaggio della storia del Dopoguerra italiano ma anche la storia del singolo, il giovane Ettore, che agisce, nella finzione teatrale, in un equilibrio sospeso tra le opportunità del presente (il lavoro come impiegato) e l’incognita del futuro (negazione degli ideali). Dal punto di vista tecnico, il testo prevede l’inserimento di brani musicali, filmati, movimenti di scena e di luci che accompagnano il pubblico in una dimensione astratta ma al contempo storicamente definita in un susseguirsi di finzione/realtà. Una sfida affascinante dedicata alla grandezza di Beppe Fenoglio, alla sua modernità e unicità.»

La vicenda, ambientata dopo il 1946, vede al centro Ettore, l’attore Marcello Spinetta, un giovane che, dopo aver partecipato alla Resistenza, si trova costretto ad inserirsi nella vita civile. Ha difficoltà a trovare un lavoro, anche perché: Io da partigiano comandavo venti uomini. Io ho imparato le armi, a spaventare la gente con un’occhiata, a star duro come una spranga davanti alla gente giù in ginocchio e con le mani giunte… Io non mi trovo in questa vita perché ho fatto la guerra. Ricordatene sempre che io ho fatto la guerra, e la guerra mi ha cambiato, mi ha rotto l’abitudine a questa vita qui. Io lo capivo fin d’allora che non mi sarei poi ritrovato in questa vita qui. E adesso sto tutto il giorno a far niente perché cerco di rifarci l’abitudine, son tutto concentrato lì. Scontroso e insofferente, Ettore non riesce a rassegnarsi alla modesta e tranquilla routine di un’esistenza qualunque, senza brividi, senza slanci. Per questo decide di darsi ad affari loschi ma molto redditizi, che lo facciano sentire di nuovo vivo per davvero.

No, no, non mi tireranno giù nel pozzo con loro. Io non sarò mai dei vostri, qualunque altra cosa debba fare, mai dei vostri. Siamo troppo diversi, le donne che amano me non possono amare voi e viceversa. Io avrò un destino diverso dal vostro, non dico più bello o più brutto, ma diverso. Voi fate con naturalezza dei sacrifici che per me sono enormi, insopportabili, e io so fare a sangue freddo delle cose che a solo pensarle a voi farebbero drizzare i capelli in testa. Impossibile che io sia dei vostri.

L’amore per una giovane donna lo costringe ad assumersi responsabilità nuove per lui, ad inserirsi in una vita normale, a cercare un lavoro onesto; con i soldi messi da parte progetta di aprire una stazione di servizio, ma un banale incidente pone fine ai suoi sogni e alla sua vita. Sullo sfondo della grigia vita di un paese delle Langhe, i personaggi della vicenda sono veri e liberi da schemi convenzionali e Fenoglio scava nella loro anima fino a trovare la loro più fonda verità, che è psicologicamente individuale, ma si carica di nessi e legami universali (Gina Lagorio, Il Ponte, n. 9, 1969).

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