Per ricordare Ezio Gribaudo, recentemente scomparso, pubblichiamo un’intervista rilasciata dall’artista al Teatro Stabile di Torino nel 2008 dove racconta del suo rapporto con le Fonderie Limone di Moncalieri presso le quali, prima che venissero chiuse e diventassero poi uno spazio teatrale, erano state fuse alcune delle sue opere in bronzo.


Fondere il bronzo: superare la dimensione dell’effimero
Conversazione con Ezio Gribaudo

di Silvia Carbotti

Nate nel 1924 ad opera di un giovane Giuseppe Limone, le Fonderie di Moncalieri hanno rappresentato per circa cinquant’anni un punto di riferimento fondamentale per la vita ed il lavoro di molte persone. L’attività di questa fabbrica, produttrice fra le altre cose della “Bol d’or”, la migliore boccia professionistica che vinse per anni i campionati europei e mondiali, cessa nel 1977. Successivamente i suoi terreni vengono venduti al Comune di Moncalieri per rinascere nel 2000 come luogo di arte e di cultura. Prima della chiusura definitiva, però, le fonderie produrranno non più solo pezzi per l’industria ma, con estrema meraviglia di chi vi lavorò, alcune opere d’arte. Le opere di Ezio Gribaudo.

Artista di grande talento, Gribaudo può vantare nel corso della sua vita amicizie e incontri davvero invidiabili tra cui Pablo Picasso e Francis Bacon. Ha rappresentato e rappresenta tuttora una figura importante per la crescita culturale di Torino: nel 1966 vince il Premio per la grafica alla Biennale di Venezia e nel ’67 alla Biennale di San Paolo del Brasile. Nel 1976 ha contribuito all’organizzazione dell’esposizione, per la prima volta a Torino, della collezione Peggy Guggenheim, presso la Galleria d’Arte Moderna. Nel 1978 propone e organizza alla Promotrice delle Belle Arti, con il supporto della Fiat, una mostra di livello internazionale e uno spettacolo su Jean Dubuffet, conosciuto a Parigi, dal titolo Coucou Bazar. Figura eclettica, è passato dalla pittura alla scultura, dal lavoro su tela, a quello su marmo e polistirolo. A queste tecniche ha alternato anche alcuni lavori in bronzo e il luogo in cui queste opere furono realizzate fu proprio la Fonderia Limone. Ecco come nasce l’incontro con la fabbrica di Moncalieri.

«È l’azzardo della vita… Da buon tifoso mi trovato allo stadio ed incontrai un amico, l’industriale Sergio Rossi, il quale mi raccontò dell’esistenza delle Fonderie Limone. A quel tempo, erano i primi anni ‘70, ero alla ricerca di una fabbrica per la realizzazione di alcune delle mie opere e conoscendo Ettore Barabino, amministratore Delegato – che nel 1964, affiancato da Alfredo Limone, e dal figlio Piero Barabino – prese le redini della fabbrica, fino alla sua liquidazione*, lo contattai per chiedere qualche informazione in più. L’idea di un’azienda da impiegare per la realizzazione di opere d’arte sembrava una magnifica idea, e così fui invitato a visitare le fonderie, di cui non conoscevo neppure l’ubicazione…

Arrivando in questo luogo straordinario mi sembrò quasi di entrare in un romanzo di Zola: tutto era “preistoria” e tutto mi piaceva: spazi fumosi, ferruginosi in cui si fondeva il bronzo, ma anche la ghisa. La Limone, fino agli anni ’60, era stata la più importante fonderia di bronzo e ghisa d’Italia per numero di dipendenti e qualità di produzione potendo contare, in quegli anni, su oltre cinquecento lavoratori. Durante la guerra, si era dedicata espressamente alla produzione bellica, avendo come primo cliente la Oto Melara tutt’ora produttrice di carri armati. Nel periodo della liberazione vennero nascoste ai tedeschi la maggior parte di riserve di carburante e di carbone di proprietà della Fiat e finita la guerra iniziarono ad arrivare le grosse commesse della stessa Fiat e di altre società del gruppo. Quando vi entrai per la prima volta, scambiando qualche parola con gli operai che incontravo chiesi: «Ma avete mai fuso arte?», «Arte? – risposero – No. Però ci piacerebbe!». Sembrava proprio che negli animi di queste persone ci fosse la voglia di nobilitarsi e nobilitare anche il prodotto del loro lavoro. Così spiegai come realizzavo le mie opere e loro accolsero piacevolmente questa idea. Per la prima volta, l’arte varcava le porte della fabbrica, ed in realtà, considerata la chiusura del ‘77, credo di essere stato l’unico ad approfittarne… Cominciai così a fondere a Moncalieri le mie opere. Tra queste ve ne è una imponente, che oggi si trova in Corso Stati Uniti, presso il palazzo della Federagraria e le cui immagini sono pubblicate in un volume dell’architetto Amedeo Albertini, progettista del palazzo: si tratta del Logogrifo 71, una stele dell’altezza di tre metri per novantasei centimetri di larghezza. Ho fuso alle fonderie per due o tre anni diverse opere, tra queste una per il Festival di Chieri del 1973, dal titolo I giovani per i giovani, organizzato dal Teatro Stabile di Torino, allora presieduto da Rolando Picchioni.

La fabbrica era un vero e proprio caos, tra la ferrovia, il fiume e i topi… eppure possedeva un’architettura che mi affascinava. Ad attrarmi era questa giungla, questa babele: si trattava di un luogo che non era mai mutato nel tempo, non aveva subito opere di ammodernamento era, sotto certi aspetti, un balzo nel passato. Quegli operai facevano un mestiere che nessuno voleva più fare: io mi presentavo loro con i miei abiti chiari e, dopo qualche tempo, avendomi preso a cuore, si curavano che non mi macchiassi: «Faccia attenzione professore, che si sporca!». Per loro ero “il professore” e, anche se non volevano, mi piaceva addentrarmi tra quelle mura, vedere le vasche di fusione. Ero entusiasta e affascinato dal bronzo un materiale così duro, resistente ma al contempo nobile.

Mi piaceva vedere le mie opere uscire grezze e da lì partire per altre destinazioni per essere lucidate e levigate…

Nel novembre del ‘73 il Teatro Stabile di Torino si trasferisce in Piazza Castello all’interno del nuovo edificio del Teatro Regio. In quell’occasione, mette in scena uno spettacolo animato da Vittorio Gassman dal titolo Il trasloco. Recital Parabolico in due tempi e cinque giornate. Durante questa lunghissima recita, Gassman fece da animatore tra il Piccolo Regio e i Giardini Reali conducendo, dall’una all’altra parte, diversi ospiti del mondo dello spettacolo. Mi venne allora affidata l’immagine della locandina e scelsi una mia opera raffigurante Adamo ed Eva, oggi al cimitero di Sassi,

nella mia tomba di famiglia. Anche Il trasloco è fatta di bronzo delle Fonderie Limone e allo stesso modo vennero fuse anche delle copie più piccole da donare a tutti gli artisti intervenuti tra cui lo stesso Gassman, Paolo Poli, Ida di Benedetto…

Oggi le fonderie hanno mutato funzione e in parte aspetto. Accade spesso che questi luoghi si trasformino in spazi per l’arte, la cultura in genere o come in questo caso, per il teatro. Credo nell’importanza del recupero di questi siti, e soprattutto credo nel valore di interventi conservativi che permettano anche ai più giovani di conoscere il passato degli spazi che oggi frequentano comunemente andando a teatro o visitando una mostra. Credo dunque all’architettura che ama l’architettura e la preserva dal mero esercizio di stile e di forma…

Quando le fonderie cessarono la loro attività ho realizzato altrove soltanto un’opera: sono certo, però, di aver conquistato i ragazzi che lavoravano alle Limone. Erano affascinati dalle mie opere e da chi, come me, e come loro, amava quel metallo nobile capace, rispetto ad altri, di durare nel tempo e superare la dimensione dell’effimero e del temporaneo…».

*nota di aggiornamento.
Quando la fabbrica venne liquidata, grazie all’interessamento, della Direzione, in particolare  dei Barabino, dei Sindacati e delle Autorità Comunali tutti i dipendenti furono inseriti in altre aziende.