In concomitanza con la celebrazione del bicentenario della nascita di Fëdor Dostoevskij, i Marcido presentano in prima nazionale MEMORIE DEL SOTTOSUOLO una messa in scena di Marco Isidori dal romanzo dello scrittore russo che il Teatro Stabile di Torino propone a partire da martedì 16 novembre 2021, alle ore 19.30, al Teatro Gobetti di Torino. Uno dei testi chiave dell’opera di Dostoevskij, che nella versione dei Marcido è la metafora dell’alternarsi di esaltazione e di disperazione, a cui l’uomo non può sottrarsi. Lo spettacolo è interpretato da Paolo Oricco, in scena lo scenario/sipario “Trionfo della Morte” di Daniela Dal Cin, un’opera pittorica ispirata all’affresco quattrocentesco di Palazzo Abatellis a Palermo. Memorie del sottosuolo sarà replicato al Teatro Gobetti per la Stagione in abbonamento del TST fino al 21 novembre.

Dopo Torino, lo spettacolo sarà in tournée a Milano, al Teatro Elfo Puccini, dal 14 al 19 dicembre 2021 e a Roma, allo Spazio Diamante, dal 17 al 20 marzo 2022.

Note di regia di Marco Isidori

«(…) Senza questo specifico/speciale attore, lo spettacolo da Dostoevskij non sarebbe stato concepibile; ha visto la luce del palco perché Paolo Oricco ha infuso completo sé medesimo nel progetto, resistendo all’ustione che da lì promanava, fino a diventare il vincitore di quel rodeo poetico nel quale abbiamo voluto principalmente consistesse quest’edizione Marcido delle “Memorie del sottosuolo”.

L’allestimento scenografico della rappresentazione ha comportato la realizzazione pittorica di un’unica grande pala/sipario intitolata “Trionfo della Morte”. A questo proposito occorre parlare dell’invenzione artistica di Daniela Dal Cin come di una parte (organo) strettamente solidale al lavoro sia registico che interpretativo, anzi, si può azzardare l’ipotesi che si tratti della stretta filiazione di un medesimo pensiero, condotto con una pluralità di mezzi artistici diretti verso un comune risultato drammatico… Il “Disegno” del sipario “Trionfo della Morte” (ispirato al quattrocentesco affresco palermitano) ci presenta con la nettezza caricata della grafia potente della Dal Cin una “schermata” veritiera del contemporaneo girone a vuoto dell’infernale/attuale valzer del “comunicato”. L’allegoria ci restituisce con spietata grottesca terribilità, un’inquadratura impudica, ma purtroppo incontestabile, dell’insania totale che questo valzer della mala ciancia vaporizza per l’universo mondo disseccando la fonte della com-unione…»

 «Da quanto tempo i Marcido pensano ad una messa in scena di Dostoevskij! Forse, dall’esordio della Compagnia; infatti sempre i motivi del grande russo, attraversarono, e neanche troppo sotterraneamente, il nostro lavoro, come un basso continuo implacabile anche se abbastanza camuffato nelle sue manifestazioni sceniche da risultare illeggibile alla superficialità della cronaca.

Adesso abbiamo deciso di esprimere compiutamente in uno spettacolo, facendola esplodere, questa nostra tendenza dostoevskijana, prendendo per le corna quelle “Memorie del sottosuolo” che sono forse uno dei testi chiave dell’opera del russo, pronti ad affrontare una misura certo non facile e carica di rischio, ma per noi di straordinario fascino drammatico. Le parole, ma meglio dir subito, senza ambiguità, la “Parola” di Dostoevskij, e quelle proposte in prima persona dall’autore nelle Memorie su tutte, sono talmente impregnate di un concentrato dell’umano travaglio, da fotografare, far suonar netto, netto aldilà di ogni ambiguità ideologica o storica, il tema ossessivo di questo scrittore, la dominante tragica spalancata e sviluppata in ogni piega possibile del discorso, una nota costante, pronunciata affermativamente, e poi immediatamente contraddetta in un vortice poetico di ritrattazioni così specificamente teatrali, espanse, dichiarate, così tanto e così talmente parole tutte “ineluttabili” nella loro spudoratezza, da fornire, anzi, pretendere dalla prova dell’attore che le dirà, una sensibilità sia tecnica che emotiva tale da condurre lo spettacolo verso quella regione della comunicazione dove l’istanza di chi parla travasa nell’animo di chi ascolta con la potenza inequivoca dei fenomeni naturali; rendendo evidente che, come scrive Nietzsche: “Il grado di sofferenza di cui un uomo è capace determina la sua profondità  e la sua serietà, ma anche la sua gioia”. Dostoevskij in queste sue “Memorie del sottosuolo” che noi abbiamo “tradotto” con spirito di grande adesione sentimentale, e nello stesso tempo di altrettanto grande partecipazione “politica”, ce lo dimostra magistralmente. I Marcido hanno voluto che il teatro mostrasse appunto che al gorgo altalenante della gioia e della disperazione, l’uomo non può sottrarsi. Certamente il Teatro, se deve portare un simile peso, non può accontentarsi dell’usuale canonica, deve, almeno tendenzialmente, fare lo sforzo di sporgersi oltre se stesso; magari rinunciando, magari fallendo, magari equivocando, comunque sempre tentando di mostrare quel che nella normale prassi delle scene, resta celato.

Questa almeno è stata la nostra scommessa.»

 

La Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa nasce nel 1984 dall’incontro artistico di Marco Isidori, attore e regista capocomico, Daniela Dal Cin, pittrice/scenografa e Maria Luisa Abate, attrice, ai quali si aggiunge, nel 2000, Paolo Oricco, attore. Animato da uno strenuo sperimentalismo, il gruppo ha intrapreso una ricerca ossessiva dell’opera d’arte totale, chiamata ‘teatro ulteriore’; le loro messe in scena si riferiscono alla drammaturgia classica e contemporanea, i testi vengono talvolta affrontati come partiture musicali. Tra i lavori più rappresentativi ricordiamo: Palcoscenico ed Inno (1991); Il cielo in una stanza (1994); Happy days in Marcido’s fields (1997); La pace (2007); …ma bisogna che il discorso si faccia! (2008); Edipo Re (2012); Lear, schiavo d’amore (2018).

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