Romeo Castellucci, maestro indiscusso del teatro contemporaneo europeo, porta in scena a Torino il suo spettacolo Bros, che debutta alle Fonderie Limone di Moncalieri – fuori abbonamento – sabato 29 ottobre alle 21.00 e domenica 30 ottobre alle 15.30. I protagonisti di questo spettacolo sono un gruppo di uomini che, vestiti da poliziotti, ricevono individualmente degli ordini tramite un dispositivo auricolare. All’apertura del sipario, gli interpreti li eseguono scrupolosamente e in tempo reale, senza avere alcun tempo per pensare. La matrice dei comandi rimane fuori scena: una sorta di dittatura invisibile che rende estranianti anche i gesti più semplici. Castellucci ci guida in un esame profondo delle responsabilità individuali e collettive, e del nostro rapporto con la legge: una inquietante allegoria sulla violenza e le degenerazioni del potere. In scena Valer Dellakeza, gli agenti Luca Nava e Sergio Scarlatella e un gruppo di comparse. La musica è di Scott Gibbons, la collaborazione alla drammaturgia è di Piersandra Di Matteo, gli assistenti alla regia sono Silvano Voltolina e Filippo Ferraresi. La scrittura degli stendardi è di Claudia Castellucci.

Bros, prodotto da Societas, viene presentato a Torino grazie alla collaborazione tra Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale e Festival delle Colline Torinesi / TPE – Teatro Piemonte Europa.

Lo spettacolo è consigliato ai maggiori di sedici anni.

Inoltre, domenica 30 ottobre, alle 11, presso la Sala Pasolini del Teatro Gobetti, Sergio Ariotti, Romeo Castellucci e Beatrice Merz presentano una nuova collana hopefulmonster dedicata al rapporto tra artisti visivi e teatrali.

 

SCHEDA A CURA DELLA COMPAGNIA

Lo spettacolo si apre in uno stato di allerta. Rumori e macchine suggeriscono forme di sorveglianza che suonano come un avvertimento percettivo. Gli Attori che abitano questa scena, reclutati attraverso una chiamata pubblica, non hanno imparato la parte. La imparano mentre la eseguono. Tale esecuzione corrisponde all’esecuzione di ordini telecomandati. Questi Attori, per poter partecipare allo spettacolo, hanno sottoscritto un patto in cui dichiarano di attenersi fedelmente ai comandi. Si tratta di un impegno che devono essere in grado di condurre fino in fondo. La coscienza si ferma qui. Poi comincia l’esperienza dell’alienazione, in cui eseguiranno azioni senza capire, né prepararsi.

Questa condizione, lungi dall’essere un’improvvisazione costruttiva o una delega allo spontaneismo, schiaccia il tempo della consapevolezza fino al suo grado zero. È un paradigma di velocità massima che brucia ogni interstizio critico. Sembra coincidere con una forma di “abbandono”, un votarsi, un annullarsi nella parte. Una parte che gli Attori non conoscono. Appaiono gesti intimi, a vederli dall’esterno, e lo sono, ma noi sappiamo anche che sono gesti “intimati”, in una oscura confusione tra intimità e intimazione; in una frenesia che non lascia spazio al ripensamento.

Si vede è un mucchio di azioni che si declinano in dinamiche di saturazione e svotamento del palcoscenico, fino a riempire e spogliare il mondo. Si tratta di azioni semplici, quotidiane, forse eccentriche perché fuori contesto, ma ben riconoscibili ed eseguite individualmente. Vi è una prepotenza dell’azione rispetto al pensiero, il quale non sembra avere alcuna importanza qui; il pensiero abdica al suo ruolo di causa che genera azioni, e pure a quello di giudice delle azioni appena compiute. Tutti sanno esattamente cosa fare, ma questa veduta, che si apre come da una terrazza sporgente su una piazza, suscita la domanda: chi sono? cosa fanno? dove vanno? E ci accorgiamo che, nel loro essere individui, sono, in realtà, simili, anzi somiglianti. Sono fratelli. O forse la moltiplicazione allucinata di una stessa persona che, nel medesimo tempo, condensa centinaia di azioni differite. Non decisioni. Ma esecuzioni. In un tempo strozzato.

A rafforzare la somiglianza la comune uniforme che indossano. È la divisa tipica da poliziotto del cinema americano. Muto e comico. Tale iconografia è lì per convocare la Legge che prepara e innesca il dispositivo del disastro. Il comico come hard-core della Legge. La potenza del comico come congegno fondato sul basso materialismo del corpo e sul disordine curva l’accadere in una dimensione oscura e perturbante. Il poliziotto, che ha il compito di far rispettare la Legge, qui è vettore di una Legge che si trasforma puntualmente in farsa. Alle presenze di questi Attori è chiesto di incarnare una qualità scenica che vive nell’istantaneità di compimento dell’azione; che taglia fuori ogni psicologia meditata per far spazio alla verità dell’esperienza, perché ciò che conta, qui, è l’immediata incorporazione della risposta e non l’improvvisazione smaliziata di chi conosce il mestiere. Bros costringe insieme le parole ridotte a comandi con il linguaggio muto delle immagini e con le parole emblematiche dei motti. Sul palcoscenico si formano situazioni insolite e paradigmatiche.

In esse si specchia il doppio e triplo-fondo dell’apparenza; il versante tenebroso della logica; l’inconsistenza delle certezze… Le immagini mentali prendono il sopravvento nello spazio in totale sincretismo, per approdare a un nuovo effettivo linguaggio: enigmatico, arcano, formato da figure che rimandano sempre a qualcos’altro, alla stregua di geroglifici. L’attore è spettatore egli stesso di quanto viene facendo. Il nodo tra attore e spettatore si stringe così fino a soffocare ogni distinzione. La recita coincide con la vita che accade in quel esatto momento. La parte non è più da preparare, solo da verificare. Nessuna improvvisazione, bensì il baratro di un presente assoluto.

 

CS_Bros