Martedì 7 marzo 2023, alle ore 19.30, va in scena al Teatro Gobetti di Torino lo spettacolo Le relazioni pericolose per la regia di Carmelo Rifici, che ne ha curato anche la drammaturgia insieme a Livia Rossi. Il celebre romanzo di Pierre-Ambroise-François Choderlos de Laclos è il punto di partenza di un lavoro di riscrittura drammaturgica che si è ispirato a numerosi filosofi e letterati: da Antonin Artaud a Pier Paolo Pasolini, da Friedrich Nietzsche a Simone Weil e Fëdor Dostoevskij. Un lavoro di ricerca che Rifici e Rossi hanno portato avanti insieme a Ugo Fiore. In scena (in ordine alfabetico) Flavio Capuzzo Dolcetta, Federica Furlani, Elena Ghiaurov, Monica Piseddu, Edoardo Ribatto, Livia Rossi. Il disegno sonoro è di Federica Furlani; l’impianto scenico di Carmelo Rifici e Pierfranco Sofia; il disegno luci è di Giulia Pastore e il progetto visivo di Daniele Spanò. I costumi sono di Margherita Platé, la drammaturgia del corpo di Alessandro Sciarroni. Lo spettacolo, prodotto LAC Lugano Arte e Cultura, sarà replicato per la Stagione in abbonamento del Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale fino a domenica 12 marzo 2023.

Note di regia di Carmelo Rifici

Qualche tempo fa sono ritornato su un saggio che avevo molto amato in passato, che il filosofo René Girard aveva dedicato al generale prussiano Carl von Clausewitz e al suo trattato Della guerra. Lo statista militare sostiene la tesi che, nella cultura dell’Occidente, fin dall’inizio la guerra è stata assunta come dato costitutivo e fondante del pensare, dell’agire e dell’essere; lo stesso Eraclito nel suo Frammento B 53 dice che “polemos (la guerra) è padre di tutte le cose; di tutti re; e gli uni disvela come dei e gli altri come uomini, gli uni fa schiavi gli altri liberi“. Clausewitz offre un’interpretazione oggettiva del fenomeno “guerra” mostrando come esso sia inseparabile dal concetto occidentale di “politica”.

Il pensiero provocatorio ma mai gratuito di Girard porta il discorso verso orizzonti più antropologici: la guerra, e comunque ogni duello, nasconde e protegge un senso religioso. L’odio contiene qualcosa di misterioso e di sacro, spinge gli antagonisti ad una rivalità mitica ed ancestrale, che ha una fine solo nell’annientamento del nemico, che altro non è che il proprio specchio, il proprio modello. Questo testo mi ha riportato ad un altro, scritto anch’esso da un militare: Le relazioni pericolose del Generale Pierre Choderlos de Laclos. Il romanzo epistolare mi aveva sempre affascinato per la sua lucidità e la sua crudeltà, ma solo alla luce del trattato di Girard finalmente ne coglievo la reale potenza. L’intuizione di Laclos, poi solo accennata nel romanzo, era sorprendente: i suoi personaggi, calati in un duello senza sconti e con effetti catastrofici, proponevano non tanto una trama di erotismo e di morte, quanto una vera e propria teoria sul pensiero occidentale. La guerra santa che l’occidente ha scatenato nel mondo è quella della ragione contro l’occulto, il mistero. La storia del pensiero occidentale si può racchiudere nella metafora di una luce che stana le ombre, che cerca di far tacere le voci misteriche di un universo parallelo invisibile, che si palesa nell’irrazionale, nella malattia, nei riti antichi, nella natura e nel corpo. È Logos che si fa calcolo, potenza strategica, che si fa “controllo”. Non a caso, il Settecento, secolo dei Lumi, è figlio delle prime rivoluzioni scientifiche, ma anche dei primi tentativi, per niente rudimentali, di pupazzi meccanici che tentano di imitare e superare in durata la fragilità dell’essere umano. La guerra tra Ordine e Caos è soprattutto un duello di reciprocità, un desiderio di annientamento del nemico in quanto svelatore di un desiderio troppo pericoloso: il duellante sfida sempre la sua nemesi, ma mentre la combatte non fa altro che assomigliarle sempre di più, fino a fondersi in essa. L’uomo ha sempre usato la guerra in un insensato schema di equilibrio di vita e morte. Eppure l’equilibrio è finto, crea solo una futile giustificazione alla guerra stessa. Certo, il testo di Laclos ha tutte queste intuizioni, ma il suo risultato letterario si piega poi ai gusti e alla moda di Parigi. Tutto ciò non mi bastava. Ho chiesto allora a due miei ex studenti, brillanti attori e intellettuali, Livia Rossi e Ugo Fiore, di aiutarmi in una ricerca di testi per portare alle estreme conseguenze i tentativi di Laclos. Ne risulta un testo originale di straordinaria omogeneità e compattezza. Abbiamo affrontato un viaggio nel doloroso campo di battaglia del pensiero: il Linguaggio contro la Parola. L’uomo occidentale teme una sola cosa: la morte. La sua corsa nel tempo è il tentativo di superarla. Superamento della natura, della debolezza del corpo, dell’istinto, in favore di un controllo sempre più sofisticato sugli eventi, di un calcolo che supera le stesse possibilità dell’umano, che trascende da esso. Lo spazio scenico è fatto di pochi elementi: soprattutto microfoni e macchine foniche. Nella loro brutalità e violenza, questi elementi sostituiscono la violenza della mano armata o della penna e dell’inchiostro, ma proprio a causa della loro brutalità diventano nuovi geroglifici, totem, simulacri sacri. In risposta a questa Mania di controllo, di contenimento della violenza nella parola e nel testo, ho chiesto a Daniele Spanò di creare un lavoro sull’immagine. Attraverso una macchina ormai preistorica, la lavagna luminosa, l’immagine può ricordare quel desiderio di armonia e di pace che l’uomo conserva comunque dentro di sé, come antidoto alla violenza. Infine ho chiesto al coreografo e amico Alessandro Sciarroni di lavorare sulla pratica dell’arte della scherma: evidente ed elegante tentativo dell’essere umano di rendere innocuo e sportivo, in una funzione terapeutica e quasi sacra, l’istinto dell’uomo alla sopraffazione di un suo simile.

 

CS_LE RELAZIONI PERICOLOSE