Da dove arriva la tua voce? chiede Gian Luca Favetto, prima ancora di ascoltare le storie delle loro vite; vuole sapere i dettagli: la città in cui sono, il quartiere, la casa. Perché disegnare una mappa significa partire da un punto, o in questo caso, da una costellazione di punti, che sono i luoghi da cui proviene il racconto di ognuno. Si scopre così, che il risultato della prima settimana è già di per sé una geografia, come ha detto Alessandro Avataneo: è una mappa dei mappatori.

Si riprende proprio da qui: con l’aiuto di Jacopo Romei, i ragazzi hanno cominciato a costruire una mappa che è in realtà molto simile a un percorso, una foresta di Birnam che avanza; si tratta solo di catalogare i semi dei suoi alberi, per capire come crescerà. Per questo, il gruppo ha deciso di fare un esercizio di cartografia partendo da tutte le parole che hanno raccolto (memoria, spazio, ignoto, immaginazione…). Le hanno sistemate in una relazione spaziale e hanno trovato le sovrapposizioni inevitabili tra individualità apparentemente diverse, giocando con le analogie e con le distanze. Hanno discusso a lungo sopra ognuno di questi concetti, concentrandosi su un lavoro di allineamento che è durato l’intera settimana.

In un atto rivoluzionario, tra i punti centrali c’è il pubblico: se è sempre stato collocato attorno al palcoscenico, in un’architettura quasi tribale dove il fuoco è l’attore, adesso ci si propone di fare il contrario. O meglio ancora, di avvicinare pubblico e attore fino a che diventino un tutt’uno. Questo perché il teatro senza il pubblico non vive, lo spazio vuoto del palcoscenico si accende proprio nel momento in cui lui agisce: citando Peter Brook, il teatro non esiste come luogo fatto di palcoscenico, sedie e luci. “Per fare teatro c’è solo bisogno di una cosa: l’elemento umano”.

Sembra una banalità finché non ne facciamo memoria, finché non andiamo a cercare il teatro fuori dal teatro per rendere teatrale il mondo intero, tenendo conto di tutte le sue specificità: bisogna risignificare ogni luogo partendo dalla sua memoria. E se si parla di tutto questo spazio, si incontra inevitabilmente la parola metropoli, che dall’etimologia greca vuol dire città madre: il teatro come una grande città madre in cui spostarsi. Per questo, la mappa di CentiMorgan potrebbe addirittura configurarsi come una mappa della metropolitana, dove ogni stazione è l’inizio di un viaggio, e al contempo la lunga storia che contiene.

E allora via, tutti pronti per partire.

Giulia Binando [illustrazione + testo]