“Ogni volta penso che non sono capace, che non scriverò mai più. Guardo i miei versi e mi chiedo: ma chi l’ha scritta questa roba?”.

Che possiate crederci o meno, sono le parole di Chandra Livia Candiani, una delle migliori poetesse oggi, in Italia, e forse anche molto più in là, nel resto del mondo. Mentre le ha pronunciate, la sua voce è rimasta calma ed esilissima, ormai un tutt’uno coi boschi di ciliegio vicino a cui vive, immersa nella campagna lombarda.
I ragazzi di Elisir, nella serie di interviste che sono proseguite anche durante la terza settimana, hanno avuto l’occasione di scambiare con lei alcuni pensieri; e da una chiamata telefonica programmata per durare mezz’ora, la chiacchierata è si è estesa molto più a lungo, in un’ora intrisa di condivisione e onestà disarmante, al termine della quale i ragazzi sono rimasti in silenzio. Ci è voluto un momento di respiri profondi prima di tornare a lavorare, Chandra ha toccato qualcosa di vivo.
“La precreazione è un momento molto doloroso, per me”, ha detto. Spiegando come, confrontato con il tempo creativo, duri per lei molto più a lungo, così tanto da ricevere un nome preciso: la Fase del lombrico. Ha deciso di chiamarla così perché, senza mezze misure, quando non scrive si sente un verme. Eppure, è un tempo che esiste, che è addirittura rivoluzionario: quando è sottoterra, il lombrico sposta le zolle, arieggia il terreno, lo sta preparando anche se nessuno può vederlo.

Ma che cosa succede ancora prima, come nasce l’ispirazione?
Chandra parla di una tecnica, che arriva direttamente dal monaco buddhista Thich Nhat Hanh quando dice “bacia la terra con i tuoi piedi”. Questo perché il metodo consiste nel camminare con estrema attenzione, non tanto per il momento in cui i passi toccano il suolo, ma per quello in cui restano in aria. Il segreto sta nel connettersi con la sospensione, perché per camminare bisogna lasciare la terra. È un costante ritmo tra contatto e distacco in cui noi siamo sempre un po’ in pericolo. In questo rendersi conto, dice lei, arrivano vere e proprie visioni.

Ciò che è poi difficile è evitare che vengano messe da parte da quelle che lei chiama le cornacchie, ovvero tutti quei mucchietti di pensieri giudicanti o eccessivamente confortanti, che è importante lasciare cadere. Nonostante questo, il suo consiglio è di allontanarle con gentilezza, perché in fondo, è solo un malriuscito tentativo di protezione, “Grazie moltissimo per il lavoro che fate, ma non ne ho più bisogno, siete libere”. Al termine della chiacchierata, e come stimolo per gli ultimi tocchi al manifesto precreativo, Chandra ha lasciato loro alcune domande.
Cosa fa di me, me?
Cosa sono senza le azioni?
Qual è la mia massima urgenza, il mio lascito?
Nessuna scadenza, ci si può pensare anche tutto il tempo di una vita.

Giulia Binando [testo e illustrazione]