Una fabbrica di spettacolo a ciclo continuo, una prevalenza delle produzioni sulle ospitalità, un primato della drammaturgia contemporanea su quella classica, autorevoli esponenti della regia italiana ed europea per una rappresentativa differenziazione di stili, una programmazione orientata verso il rischio culturale e l’impegno civile: sono queste le peculiarità che emergono scorrendo il cartellone della stagione 2019-2020, nella quale si conferma la vocazione di un Teatro come ambiente capace di accogliere una comunità composta da tanti pubblici, con esigenze e aspettative diverse; un Teatro che pur non rinunciando a una precisa identità artistica vuole e deve assolvere a funzioni complementari e plurali.

Alla definizione di una precisa identità artistica contribuisce più d’ogni altro Valerio Binasco, al quale è richiesto un impegno produttivo intenso e continuativo, come avviene nei teatri che hanno il privilegio di essere diretti artisticamente da una forte personalità creativa.

Dopo aver iniziato nel modo migliore il suo percorso allo Stabile con la lettura non convenzionale di tre icone universali come Don Giovanni di Molière, Arlecchino di Goldoni e Amleto di Shakespeare, Binasco apre e chiude la prossima stagione con due titoli ormai classici del Novecento, che segnano anche il suo ritorno in scena come attore dopo diversi anni. Il primo è la commedia Rumori fuori scena scritta da Michael Frayn nel 1977. Frayn, del quale il nostro pubblico ha molto apprezzato Copenaghen l’autunno scorso, è uno dei più acclamati drammaturghi britannici viventi e questo suo capolavoro comico, noto in Italia per essere divenuto cavallo di battaglia di alcune compagnie private, merita di essere allestito da un Teatro Nazionale com’è stato fatto da uno dei più importanti teatri europei, il Residenztheater di Monaco, che ne ha affidato la messa in scena ad un regista autorevole come Martin Kušej. L’altro testo diretto e interpretato da Binasco è Uno sguardo dal ponte, dramma di Arthur Miller del 1955, portato al successo da un giovane Peter Brook e da Luchino Visconti (in Italia): storia di immigrazione clandestina, di passione e autodistruzione nella New York post-bellica.

Uno sguardo dal ponte ci introduce al tema più rilevante del progetto produttivo, articolato in 17 titoli tra produzioni, coproduzioni e riprese: storie di donne che, rispecchiando la cronaca dell’ultimo secolo, sfidano sulla scena il pregiudizio, il conformismo, il maschilismo, il sopruso. Donne consolatrici, donne emancipate e coraggiose, donne vittime ma anche carnefici.

Se in Uno sguardo dal ponte è la giovane nipote Catherine, troppo spigliata e disinibita per la società moralista dell’epoca, a ossessionare il desiderio incestuoso e perverso del protagonista fino alla tragedia finale, nella Casa di Bernarda Alba, il dramma più noto di Federico García Lorca messo in scena da Leonardo Lidi, è la dispotica Bernarda a segregare la madre e le cinque figlie con una violenza psicologica tutta al femminile che contrasta la passione dell’ultimogenita fino a spingerla al suicidio. E tre testi che trattano figure femminili diverse tra loro ma determinanti nelle rispettive drammaturgie sono curati da altrettante registe. Kriszta Székely, residente al Teatro Katona di Budapest, dirige Zio Vanja, nel quale Čechov affida la speranza di una società decadente, abitata da maschi incerti e fragili, allo struggente monologo finale della giovane Sonja, la sola capace di reagire con uno spirito tragico ma combattivo all’eterno presente fatto di rinuncia. Con Scene di violenza coniugale dell’anglo-francese Gérard Watkins, Elena Serra svela allo spettatore i meccanismi psicologici alla base della violenza di genere, una pratica ereditata dal diritto del più forte che si ripresenta con frequenza impressionante quando la donna afferma il suo ruolo in una società dove la dominazione maschile continua, purtroppo, ad essere la regola. Infine con L’anello forte di Nuto Revelli, Anna Di Francisca con Laura Curino racconta storie di donne che con il loro sacrificio e la loro tenacia hanno lavorato nelle campagne e poi affrontato la rivoluzione dell’industria, hanno subìto soprusi, muovendosi tra il desiderio di autonomia e libertà, gli impedimenti culturali e familiari e il desiderio di garantire un futuro a se stesse e ai loro figli.

Il progetto produttivo prevede poi una nuova edizione di Mistero buffo del Premio Nobel Dario Fo nel 50° anniversario della prima esecuzione, curata da Eugenio Allegri, che propone altre giullarate affidate all’interpretazione istrionica di Matthias Martelli, mentre un doppio centenario offre l’occasione per raccontare due grandi personaggi della storia italiana, uno divenuto eroe popolare ancora in vita, l’altro uomo politico visionario. Nel 1919 nascevano infatti sia Fausto Coppi, del quale Gian Luca Favetto narra le imprese sportive e le vicende private nell’Affollata solitudine del campione, sia il Partito Popolare Italiano di Luigi Sturzo, la cui storia viene raccontata da Giovanni Grasso nell’atto unico intitolato Fuoriusciti, attraverso i dialoghi tra Don Sturzo e il laico Salvemini durante l’esilio americano.

Restando alle produzioni e coproduzioni, la prossima stagione segna il ritorno di due registi e attori molto amati dal nostro pubblico, impegnati nell’esecuzione di due celebri titoli pirandelliani. Il primo è quello sempre atteso di Gabriele Lavia, di cui lo Stabile coproduce con il Teatro Nazionale della Toscana e il Teatro Biondo di Palermo I giganti della montagna di Pirandello. Il secondo riguarda Filippo Dini che, dopo il successo straordinario negli scorsi mesi di dicembre e gennaio, sarà protagonista di un duplice impegno produttivo: la ripresa al Carignano di Così è (se vi pare) e il debutto di Misery al Gobetti, versione teatrale del romanzo di Stephen King, coprodotta con il Teatro Due di Parma e il Teatro Nazionale di Genova.

Infine vanno citati gli spettacoli in tournée: oltre a Rumori fuori scena e Arlecchino con la regia di Binasco, Se questo è un uomo diretto e interpretato da Malosti in coproduzione con il TPE e il Teatro di Roma, e Così è (se vi pare): oltre 150 recite nell’arco di sette mesi nei più importanti teatri italiani, dal Piccolo di Milano all’Argentina di Roma, da Bolzano e Trieste ad Ancona, da Genova e Firenze a Napoli. Numeri che illustrano nel modo migliore sia la capacità produttiva dello Stabile, che significa occupazione continuativa per artisti e tecnici, sia la qualità artistica e l’indice di gradimento dei nostri spettacoli, che significano promozione dell’immagine di Torino come capitale culturale italiana.

Il Teatro Carignano si conferma luogo deputato dei titoli di repertorio: Macbeth di Shakespeare, Tartufo di Molière, Zio Vanja di Čechov, I giganti della montagna e Così è (se vi pare) di Pirandello, Un nemico del popolo e Il costruttore Solness di Ibsen, Ditegli sempre di sì di Eduardo De Filippo. Ma non mancano escursioni nel Novecento fino ai giorni nostri, con lavori di Lucia Calamaro, Luciano De Crescenzo, Alessandro Baricco e Budd Shulberg.

E accanto ad alcuni dei registi e degli attori più importanti della scena italiana, a partire dal “nostro” Binasco – Umberto Orsini, Massimo Popolizio, Filippo Dini, Maria Paiato, Paolo Pierobon, Gabriele Lavia, Silvio Orlando, Roberto Andò, Geppy Gleijeses, Paolo Fresu, Ivano Marescotti, Alessandro Gassmann, Carolina Rosi, Gianfelice Imparato, Leo Muscato, Fausto Russo Alesi – si impone una generazione di talenti italiani e stranieri come Oskaras Koršunovas, Lucia Calamaro, Kriszta Székely, Alessandro Serra, Serena Sinigaglia e Arianna Scommegna capaci senz’altro di conquistarsi il favore del nostro pubblico.

Tornando al rischio culturale, anche nella stagione 2019-2020 il Teatro Gobetti si distingue per un prevalente orientamento al contemporaneo. Su 26 titoli programmati, ben 19 sono di autori viventi, a riprova di come lo Stabile punti a valorizzare la creatività drammaturgica: i lavori di Zinnie Harris, Ascanio Celestini, Alexi Kaye Campbell, Marco Malvaldi, Michel Marc Bouchard, Gian Luca Favetto, Sthephen King, Gabriele Di Luca, Tim Whitnall, Giovanni Grasso, Natalia Aspesi, Michele Perriera, Antonio Rojano, Irene Dionisio e Francesca Puopolo, Debora Benincasa, Gloria Giacopini e Giulietta Vacis garantiscono una forte connessione con i temi del presente. A questi si aggiungono 6 titoli di autori del Novecento: da La casa di Bernarda Alba di Lorca, Il nipote di Wittgenstein di Bernhard e Happy Days di Beckett secondo i Marcido, fino a Mistero buffo di Fo, L’anello forte di Revelli e Diario di una diversa della Merini.

Completa il cartellone la programmazione delle Fonderie Limone, interamente dedicata agli autori di oggi: si parte con la riscrittura di Vitaliano Trevisan della Bancarotta di Goldoni con Natalino Balasso, si prosegue con il premiatissimo Macbettu sardo di Alessandro Serra, con Dio Ride del carismatico Moni Ovadia e con Skianto dell’imprevedibile Filippo Timi, e si chiude con due ospitalità straniere, Why? di Peter Brook, e Lispettore generale, riscrittura di Gogol’ della compagnia canadese Kidd Pivot.

E a proposito di progetti stranieri, lo Stabile prosegue nello sviluppo internazionale della propria attività attraverso la programmazione di spettacoli provenienti dall’estero, ma anche con l’invito di registi europei a lavorare a Torino per alimentare lo scambio di esperienze e competenze. Dopo aver ospitato l’austro-tedesco Martin Kušej, neodirettore del Burgtheater di Vienna, a dirigere un cast tutto italiano per Disgraced, tocca appunto alla regista ungherese Kriszta Székely mettere in scena Zio Vanja.

Nel posizionamento internazionale, un ruolo fondamentale è svolto dal festival Torinodanza, che a inizio stagione porta nei nostri teatri il meglio della danza contemporanea: da Sibi Larbi Cherkaoui ad Akram Khan, da Ohad Naharin ai Peeping Tom, sapientemente selezionati dalla direttrice artistica Anna Cremonini. In questa dinamica multidisciplinare, e nello stretto dialogo tra stagione e festival, si inscrive il ritorno, in esclusiva italiana, della sempre più contesa coreografa canadese Crystal Pite, che dopo il grande successo di Betroffenheit lo scorso anno propone un’altra tappa del suo significativo lavoro di integrazione tra teatro e danza.

Rivedremo poi a Torino dopo tanti anni Oskaras Koršunovas, che proprio al Carignano presentò un’indimenticabile edizione di Romeo e Giulietta che gli valse il Premio Europa: la sua versione del Tartufo di Molière, con la compagnia del Teatro Nazionale Lituano, è stata accolta con grande successo al Festival di Avignone. E ancora di un ritorno attesissimo si tratta per Peter Brook, maestro per antonomasia del teatro europeo, del quale viene eseguita l’ultima creazione Why?, prodotta dai Bouffes du Nord di Parigi, con una coppia di interpreti straordinari come Kathryn Hunter e Marcello Magni, già fondatore del collettivo Complicité, mentre dalla Russia giunge per la prima volta la Compagnia Semianyki con Lodka, mix buffo e poetico di mimo e clownerie adatto anche ad un pubblico di famiglie.

Nella “bilancia commerciale” dell’import-export, l’attività internazionale dello Stabile prevede la presenza nel mese di luglio di Così è (se vi pare) al Teatro del Popolo di Pechino, la più gloriosa istituzione di teatro occidentale in Cina, l’invito di Zio Vanja al Teatro Katona di Budapest, l’esecuzione di Mistero buffo a Bruxelles.

Da segnalare, inoltre, che nel prossimo autunno il nostro drammaturgo residente Fausto Paravidino coordina un seminario con i Dramaturg dei membri di Mitos 21, il gotha del teatro europeo di cui fa parte lo Stabile, unico teatro italiano: tre giorni di lavoro a Torino coi colleghi del Berliner Ensemble e del Deutsches Theater di Berlino, dell’Odéon di Parigi, del National Theatre di Londra, del Dramaten di Stoccolma, del Toneelgroep di Amsterdam.

Accanto alle relazioni internazionali, come sempre lo Stabile coltiva i rapporti con gli artisti del territorio: nella stagione 2019-2020 sono oltre 70 le recite che vedono coinvolti autori, registi e interpreti basati a Torino. Se sul fronte produttivo abbiamo già citato Mistero buffo curato da Eugenio Allegri, Scene di violenza coniugale coprodotto con il Teatro di Dioniso e diretto da Elena Serra, il progetto su Coppi di Gian Luca Favetto con Fabio Barovero e Michele Maccagno, e quello con Laura Curino su Nuto Revelli, sul fronte delle ospitalità si segnalano Alessandro Baricco che narra il suo Novecento nel 25° anniversario della prima edizione, Beppe Rosso che per Acti firma la regia del Rifugio di Whitnall, i Marcido Marcidorjs con l’ormai classico Happy Days e Simone Schinocca con Tedacà per un nuovo allestimento di Sotto lo sguardo delle mosche di Bouchard.

E ancora le cinque compagnie selezionate nella rassegna “Il cielo su Torino”: Anomalia Teatro, Compagnia Genovese Beltramo, Settembre Teatro, Associazione Àltera, Asterlizze Teatro, oltre alla collaborazione con il Fringe Festival.

Per concludere, un breve commento sull’immagine e sul claim della prossima stagione. In una società globale come la nostra, che sempre più si caratterizza per una dialettica manichea, fatta di contrapposizioni radicali a tutti i livelli, nella quale le divergenze di opinione vengono spesso stroncate con giudizi affrettati e sprezzanti, riteniamo che il Teatro debba preservare il confronto all’insegna della correttezza etica.

Nella Pòlis greca si andava a teatro anche per imparare i valori fondamentali della comunità e dopo le rappresentazioni si trascorrevano ore a scambiare opinioni in quello che si considera uno dei primi contesti di costruzione democratica della cittadinanza. A quell’antica pratica ci siamo ispirati idealmente. Anche se con un gioco di parole teatrali l’anglicismo fair play può rimandare alla locuzione «una bella commedia», il messaggio che intendiamo lanciare vuole essere più universale.

La bambina che indossa i guantoni da pugilato, pronta a difendere lealmente una nobile causa, ci ricorda la millenial svedese Greta Thunberg che con disarmante determinazione riesce a sensibilizzare milioni di giovani verso un futuro più sostenibile e giusto. E ci ricorda Il mondo salvato dai ragazzini di Elsa Morante: un inno all’adolescenza, alla sua energia e alla sua bellezza come visione politica per cambiare il mondo.

Oggi, più che mai, per gestire questo cambiamento senza scontri astiosi abbiamo bisogno di fair play nelle dinamiche socio-economiche e nella convivenza civile, nelle relazioni umane e nelle scelte politiche, recuperando il valore assoluto dell’etica comportamentale, della lealtà e del rispetto per chi la pensa diversamente. Abbiamo scelto di lanciare questo messaggio attraverso questa immagine perché crediamo che per migliorare il nostro mondo anche la Cultura e il Teatro possano e debbano fare la loro parte.

Filippo Fonsatti
Direttore